Faces of Bhutan: the faint flame of the Dragon – il progetto di Walter Sinigoi

Vi ho parlato di Walter negli scorsi giorni presentandovi il suo progetto Faces of Nepal, People of the Kathmandu Valley, mentre oggi parliamo di un altro suo progetto sulla scia del primo: Faces of Buthan: the faint flame of the Dragon.

Dopo il progetto Faces of Nepal, oggi parliamo di Faces of Bhutan. Cosa ci puoi dire a proposito ?

I due progetti sono stati realizzati parallelamente, come si può notare dal titolo delle due serie prodotte. L’intenzione era quella di rappresentare fotograficamente la differente identità di due popoli – quello nepalese e quello bhutanese – che hanno molti punti di divergenza. Il Bhutan ha mantenuto a lungo una severa politica isolazionista sia a livello culturale che nell’economia, nel tentativo di preservare la propria indipendenza. Le principali lingua parlate sono imparentate con il tibetano, indispensabile ai monaci per leggere ed approfondire lo studio dei libri antichi. Anche dal punto di vista fisico i bhutanesi sono molto più simili ai tibetani che ai nepalesi e volevo che ciò apparisse nella realizzazione dei due reportage. Nepal e Bhutan sono due entità profondamente diverse anche dal punto di vista religioso: nel primo la maggioranza è induista mentre il Bhutan è profondamente buddista, con oltre il 70% della popolazione che pratica questa filosofia di vita. I monaci si uniscono alla vita monastica sin da bambini, coltivando un modello di vita assolutamente austero e privo di ogni genere di lusso. Ciò è ancora più vero per i piccoli monaci che vivono nei monasteri racchiusi tra le montagne, dove la scarsa reperibilità di cibo e le condizioni climatiche avverse unite ad un abbigliamento spesso inadeguato ad affrontare i mesi più freddi dell’anno rendono ancora più dura la loro esistenza.

Nell’introduzione al progetto, sul tuo sito web, leggo che il Bhutan è considerato uno dei paesi più felici al mondo. Come hai percepito questa situazione vivendo a contatto con la popolazione e immergendoti nelle loro abitudini ?

Nella nostra cultura occidentale, siamo abituati a misurare e correlare il nostro indice di benessere con il Pil, il Prodotto Interno Lordo che misura il valore di mercato aggregato delle merci e dei servizi prodotti dal Paese. Ogni giorno, politici di ogni colore ci terrorizzano puntando il dito contro l’economia piatta e suggestionandoci a tal punto da farci credere che la nostra vita sia in strettissima correlazione con quel benedetto dato macroeconomico. Mettere sullo stesso piano l’esistenza di una persona con un stupido indice economico è qualcosa che mi ha sempre, profondamente irritato. Non siamo forse più che un numero? Siamo sicuri che la nostra “felicità “ dipenda dai beni prodotti, usati e venduti e non dalla qualità dell’aria che respiriamo, dalla natura che circonda le nostre città, dal tempo libero da dedicare alle proprie passioni e via dicendo? Spinto dalla curiosità, ho approfondito l’alternativa del Bhutan in cui l’economia viene misurata, a differenza nostra, sul Fil, la Felicita interna lorda. Ero curioso di capire se fosse principalmente una “trovata marketing” o se vi fosse qualcosa di più sostanzioso aldilà della definizione a suo modo altisonante. Sono rimasto piacevolmente sbalordito: i criteri presi in esame per la misurazione di questo paniere sono costituiti dalla salute dei cittadini, dal loro livello di istruzione, dalla qualità dell’aria, dalla percentuale delle loro foreste presenti nel territorio, dalla ricchezza dei rapporti sociali e via dicendo. Il risultato è che – anche se il Bhutan viene considerato uno dei Paesi asiatici più poveri – la popolazione è incredibilmente “felice”: la criminalità si attesta su livelli bassissimi, l’indice di povertà assoluta è basso, i casi di depressione, stress e panico sono inferiori di molto rispetto a quelli a cui siamo abituati noi occidentali. La filosofia buddista aiuta tantissimo a preservare questo clima, inducendo le persone ad accettare la morte come parte stessa della vita: “devi pensare alla morte per cinque minuti al giorno, ti curerà” è quello che si è sentito dire lo scrittore Eric Weiner durante il suo viaggio in Bhutan, e trovo rispecchi molto la realtà di questo popolo. Ovviamente, non tutto è oro ciò che luccica e le persone spesso si lamentano per le loro buste paga, come è normale che sia. Non so nemmeno se sia un modello economico pienamente sostenibile dato che l’India aiuta molto il Bhutan durante la “fase di assestamento di bilancio”. Resta il fatto che il loro è un punto di vista estremamente affascinante.

Sappiamo che fotografare uno stile di vita, le persone, il loro mondo quotidiano non è affatto semplice. Rispetto a Faces of Nepal, hai dovuto approcciare in modo diverso? 

Si, in Bhutan l’approccio fotografico è stato completamente diverso rispetto al Nepal per forza di cose. A nessun straniero viene concessa la libera circolazione nel Paese: quando si arriva, si visita il Paese accompagnati obbligatoriamente da una guida locale 24 ore su 24. Bisogna comprenderne i motivi: il Bhutan vuole preservare il proprio territorio evitando che si riduca alla stregua di molti paesi asiatici dova la sporcizia, la delinquenza e la maleducazione sono tratti accentuati enormemente da turisti tutt’altro che civili. Il problema principale del viaggiare con una guida locale è quello di rimanere focalizzati sul progetto evitando di perdere la concentrazione, cosa che visto il mio carattere risulta tutt’altro che semplice.

Raccontaci ancora qualcosa del Walter fotografo. Come hai capito che la fotografia sarebbe diventata importante per la tua vita e perchè ? 

L’interesse per lo studio della fotografia è nato una quindicina di anni fa, precisamente durante il corso di Comunicazione Visiva sostenuto all’Università di Trieste nell’ambito del percorso di Laurea in Scienze della Comunicazione. È li che ho conosciuto Roland Barthes, stampato nella carta del suo classico “La camera chiara”. Quel libro mi ha aperto letteralmente un mondo nuovo. Ricordo di aver visionato alcune fotografie all’interno dell’opera scattate un’ottantina di anni prima. Le immagini ritraevano delle persone oramai morte da decenni e quello che vedevo nel presente era una rappresentazione della realtà scomparsa da chissà quanto tempo: semplicemente incredibile. Che esistenze avevano vissuto quelle persone ritratte? Dove vivevano? Chi erano? Erano stati felici nella loro vita o avevano vissuto la loro esistenza avvolti da una malinconia che li aveva infine travolti? Ne rimasi folgorato, capendo l’importanza di fissare un piccolo istante in un eterno presente. Dopo la fine degli studi iniziai ad approfondire gli aspetti tecnici legati al medium, legandomi in modo particolare alla fotografia paesaggistica, genere che attualmente continuo a coltivare assieme al reportage.

Ringrazio Walter per la sua disponibilità e vi lascio con la galleria fotografica di questo bellissimo lavoro fotografico; intenso ed emozionate.

 

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